A chi, in questa società sempre più precaria, conosce il senso di precarietà e di crisi, a chi lotta e resiste, gioca, cade e si rialza, a chi sa che ogni giorno è buono per imparare a vivere Esiste una parola poco usata nella lingua italiana ma presente nella lingua francese (résilience) e inglese (resilience) a cui da un pò di tempo le scienze sociali stanno dando molto rilievo: resilienza. Il vocabolario italiano definisce questo termine, che appartiene alla Fisica, come resistenza di un materiale a urti e alla rottura senza spezzarsi (Lo Zingarelli, Zanichelli, Milano, 1995).In psicologia si fa invece uso del termine resilienza per esprimere la capacità umana di far fronte in maniera positiva alle difficoltà coltivando le risorse interiori, ripristinando l'equilibrio psico-fisico precedente alla crisi con la possibilità di migliorarlo. A grandi linee possiamo distinguere tra resilienza individuale e collettiva; ovviamente tutti siamo influenzati da entrambi questi livelli di resilienza: sia a livello individuale che collettivo essere dotati di resilienza significa avere la capacità di affrontare le avversitá della vita, superarle e uscirne rinforzati o, addirittura, trasformati. Arriva una crisi, irrompe nella nostra vita, rompe i nostri schemi abituali: la rottura crea paura e insicurezza, la resilienza è alla base della nostra capacità di flessibilità, della possibilità di reagire positivamente a scapito delle difficoltà, della voglia di costruire utilizzando la forza interiore propria degli essere umani, della capacità di affrontare gli avvenimenti dolorosi e di risorgere dalle situazioni traumatiche (principio storicamente dimostrato nei momenti di stragi mondiali e di genocidi provocati dall’uomo). Essere resilienti non significa solo sopravvivere a tutti i costi, ma anche avere la capacità di usare l´esperienza nata da situazioni difficili per costruire il futuro. Il tema della resilienza deve molto allo psicologo rumeno Boris Cyrulnik (figlio di deportati ad Auschwitz che riuscì a fuggire dal treno diretto ai campi di concentramento); negli ultimi decenni sono stati condotti comunque moltissimi studi e ricerche su questo argomento e sembra proprio che ogni persona possegga questa caratteristica, ma da ciascuno di noi dipende che possa essere sviluppata, se ci concediamo la possibilità di farlo, magari scegliendoci con cura, attenzione ed amore le persone di cui ci circondiamo. Chi è più resiliente ( ovvero più resistente agli urti della vita) sembra essere dotato di una buona capacità di: introspezione (la capacità di esaminare sé stessi, farsi domande e rispondersi con sincerità), indipendenza (la capacità di mantenersi a una certa distanza, fisica e emozionale, dei problemi, ma senza isolarsi), interazione (la capacità si stabilire rapporti intimi e soddisfacenti con altre persone) iniziativa (la capacità di affrontare i problemi, capirli e riuscire a controllarli) creatività (la capacità per creare ordine, bellezza e obbiettivi partendo dal caos e dal disordine) allegria (disposizione dello spirito all’allegria, ci permette di allontanarci dal punto focale della tensione, relativizzare e positivizzare gli avvenimenti che ci colpiscono). Non possedere delle buone capacità in quest’ambito non significa che non si possano sviluppare. Bisogna mettersi in gioco, tentare; i primi tentativi saranno forse un po’ fallimentari, ma non bisogna arrendersi, il primo passo per rinforzare la propria resilienza e quindi resistere agli urti, è credere di potercela fare. Mi tornano in mente le parole di Holderlin citate da Morin : “se cresce il pericolo, cresce anche la salvezza”; è così, più le nostre vite vanno in crisi, più la nostra società diviene precaria e pericolosa, più dobbiamo porre attenzione alle nostre possibilità di salvezza, di resistenza. Perciò se la crisi dovesse attraversare le vostre giornate, chiamatela speranza o chiamatela resilienza, ma sappiate che esiste, che potete trovarla. Tenete sempre presente che un periodo negativo e’ comunque temporaneo quindi superabile; se invece si tratta di una situazione permanente, che non si può cambiare, bisogna allora imparare a gestirla. Perdersi nei “devo, avrei dovuto” ecc., non sarà molto produttivo, piuttosto può servire non fare tutte le cose da soli e chiedere aiuto quando se ne ha bisogno. Ognuno ha la sua vita, la sua crisi, la sua resilienza; si tratta, se lo si vuole, di resistere agli urti e riorganizzare la propria vita. Non posso dire da dove e come ripartire, non c’è un’indicazione valida per tutti, bisogna esaminare cosa c'è intorno (persone, situazioni, contesti culturali) e camminare sempre su un doppio binario: il mondo interiore del trauma, della propria piccola o grande crisi da una parte e le risorse, le competenze e le abilità che si sono sviluppate, o che si possono sviluppare dall'altra.