Si sente sempre più parlare di mindfulness ma poichè il fatto che un termine sia molto in voga non sempre corrisponde ad un'adeguata conoscenza del termine e del suo ambito di utilizzo, in questo post introdurrò qualche concetto di base della mindfulness per poi soffermarmi su mindfulness e cibo.
La parola mindfulness significa “consapevolezza”, o meglio “attenzione cosciente”. Secondo Jon Kabat-Zinn, biologo molecolare e creatore del metodo MBSR (mindfulness-based stress reduction) focalizzato sulla riduzione dello stress, coltivare un atteggiamento mindfulness vuol dire attivare un atteggiamento non giudicante e di autentica curiosità, portando attenzione sul momento presente. Nel nostro mondo occidentale siamo sempre più spesso immersi in ritmi frenetici e spazi caotici e siamo bombardati da mille messaggi contrastanti. Presi dalla fretta e da mille cose da fare, talvolta ci allontaniamo da noi, smettiamo di fare attenzione al modo in cui viviamo e spesso non ci rendiamo neppure conto del modo in cui ci stressiamo. La mindfulness ci inivita a fare attenzione ad ogni momento, ad immergerci nel momento presente senza anticipare ansiosamente tutto ciò che deve venire o rimuginando nervosamente sul passato. Si tratta di dedicarsi a se stessi riconnettendosi con l'ambiente circostante e usando soprattutto i nostri cinque sensi e le sensazioni corporee: guardare, ascoltare, assaggiare, toccare e odorare. Non si tratta di tecniche di meditazione come quelle dello yoga ( anche se alcuni esercizi di mindfulness possono prevederne alcune forme), ma di approcciarsi diversamente agli istanti che viviamo e focalizzare l'attenzione su ciò che stiamo vivendo e sul modo in cui lo stiamo facendo. Cosa fondamentale è che l'attenzione va posta sia sulle sensazioni piacevoli che spiacevoli. Prestare attenzione permette di cogliere, con maggiore prontezza, il sorgere di pensieri negativi che contribuiscono al malessere emotivo. La padronanza dei propri contenuti mentali e degli stili abituali di pensiero (capacità di automonitoraggio e metacognizione) permette maggiori possibilità di esplorazione, espressione e cambiamento di tali contenuti. Una gran quantità di pensieri negativi deriva dalla critica che il soggetto fa a sé stesso per il fatto di sentirsi ansioso, depresso o a disagio. Ai pensieri negativi (primari) che alimentano i disagi emotivi, si aggiungono ulteriori pensieri improduttivi (secondari) su di sé. Questo meccanismo di autoaccusa e autobiasimo genera una spirale che dà origine al ruminìo depressivo. La persona si pone così in una condizione di nemica di se stessa, anziché di alleata di se stessa. L’allenamento della consapevolezza permette di affinare l’attenzione verso questi meccanismi che deteriorano l’umore e depotenziano le capacità di ripresa psicologica o la prevenzione delle recidive depressive. La mindfulness è quindi una pratica quotidiana che mira a ristruttrare il nostro approccio all'esperienza e alla realtà, è importante comrpendere quindi che iniziare un percorso di mindfulness in qualche modo significa approcciarsi diversamente a tutto ciò che è abituale ma stressante per noi, fare mindfulness non significa insomma "Mi rilasso dieci minuti così poi se mi stresso non fa niente", in quest'ottica sarebbe come bere prima una tisana rilassante e poi anche più di un paio di caffè. Intraprendere un percorso di mindfulness significa incamminarsi verso una migliore e consapevole gestione dello stress ( non eliminarlo, sia ben chiaro). In questa sede mi soffermerò ora su uno degli ambiti in cui si possono applicare le tecniche di mindfulness, l'alimentazione. E' chiaro però, da quanto si è detto sopra, che la mindfulness è applicabile in tutti i settori della vita.
Una ricerca apparsa sul Journal of Health Psychology nel 2017, effettuata su 60 donne a cui erano state date ciotole con cioccolato, barrette di cereali, patatine o frutta, ha valutato come cambia la percezione a seconda che che il pasto sia sul divano, guardando la tv o camminando. Si potrebbe pensare che mangiare guardando un programma televisivo sia negativo… lo è, ma meno che farlo camminando. Questo succede perché se siamo impegnati in un'attività fisica l'organismo non riceve un adeguato segnale di sazietà. Le donne impegnate in una passeggiata mangiavano cioccolata in media 5 volte di più rispetto alle altre. Questa ricerca è solo un esempio per evidenziare come talvolta l'atto del mangiare, complici i ritmi frenetici o la disattenzione, vada ad incidere sul nostro stato emotivo e su dei segnali fisici come quello dell'appetito-sazietà. Analizzando il momento della pausa pranzo con alcuni miei pazienti è per esempio emerso che in quell'ora non riuscivano affatto a rilassarsi, idem per pazienti che pranzavano in situazione familiare; in altri ancora veniva fuori anche la difficoltà a identificare un preciso schema rispetto ai propri pasti. Bene, la mindfulness ci invita a mettere attenzione proprio a questi momenti: cosa mi sta turbando mentre mangio? Mi piace cosa sto mangiando? Quale suono mi infastidisce? Riconoscere un pensiero disturbante mentre mangiamo ci aiuta a rispodnergli razionalmente e a rimandarlo ad un altro momento, perchè ora stiamo mangiando. Se un rumore ci infastidisce e non lo subiamo e basta, possiamo provare a sposatrci dove non lo sentiamo, se un pasto non lo gradiamo e ce ne accorgiamo saremo più propensi a sceglierne uno diverso in un'altra occasione. Sembrerà banale ma in questi momenti si deposita tanto malessere se non prestiamo attenzione. Spesso analizzando il momento pausa pranzo vengono fuori risposte come : " Ho solo dieci minuti per mangiare quindi non importa che mangio. tutto va bene", " Mi ero anche portato un libro da leggere ma poi ho continuato a lavorare " " Non ho il tempo di cucinare ma non mi piace mangiare fuori" " Si ma quando stacco sto con i colleghi e quindi parlo spesso di lavoro" " Si ma se mangio con i bambini penso a loro". Tutto abbastanza comprensibile e in fin dei conti comune, Tuttavia in un'analisi più approfondita emerge spesso che proprio questi momenti divengono fonte di stress e che delle correzioni sono possibili. La pratica dell'attenzione aumenta quindi innanzitutto la conapevolezza e permette poi di identificare i piccoli o grandi passaggi che ci avvicinano allo stress. Riprendendo l'esempio della pausa pranzo ad esempio alcune persone tra quelle che riferivano di aver solo dieci minuti per mangiare, prestando attenzione si sono rese conto di mangiare addirittura in tre minuti senza gustarsi minimamente il pranzo e rituffandosi ancor prima del dovuto nell'attività lavorativa. Pensiamo quanto questo impatti sul processo digestivo e quindi possa facilitare problematiche di cattiva digestione, reflusso gastrico e malumore. Altri si sono resi conto che lo spazio in cui pranzavano era così fastidioso per loro che si isolavano e si mettevano a pensare a tutte le cose da fare durante il giorno. Rallentare, focalizzare l'attenzione in questo caso sul cibo, può sembrare banale oltre che difficile ma iniziando se ne sentono subito i benefici. Si può focalizzare l'attenzione sul luogo in cui mangiamo, su cosa e come mangiamo, su come lo prepariamo o lo scegliamo e su quali pensieri ci disturbano e ci impediscono di stare nell'esperienza del mangiare, ad esempio, se inziamo ad entrare in ansia pensando a tutti i giri che dovremo fare " Devo prendere i bambini, andare in palestra, preparare la relazione ecc." tutto ciò non ha nulla a che fare con l'esperienza del mangiare, possiamo respingere queste preoccupazioni dicendoci " Ora mangio e mi godo il pranzo, sto su quello che sto facendo e piano piano farò il resto" . Nel tempo questa pratica diviene un abitudine e diviene più facile applicarla in ogni ambito. Sia chiaro che la mindfulness non è una pratica di perfezione o di eliminazione dello stress, piuttosto un processo di attenzione che ci permette di far fluire meglio le energie e ci allontana dal sovraccarico.